Niente risarcimento da parte della struttura sanitaria al marito di un’infermiera vittima di violenza sessuale
La domanda di risarcimento danni avanzata da un uomo, a seguito dell'atto di violenza sessuale perpetrato contro sua moglie, impiegata come infermiera in una struttura sanitaria, è stata definitivamente respinta. Secondo i Giudici, manca la dimostrazione che la violenza sessuale fosse prevedibile e potesse essere evitata attraverso l'attuazione di misure cautelari specifiche o generali da parte del datore di lavoro.
In seguito all'impianto di una doppia protesi all'anca, un individuo che necessita di riabilitazione si trova coinvolto in un episodio violento durante la sua permanenza in una struttura sanitaria, aggredendo un'infermiera. Di conseguenza, viene condannato dal Tribunale penale a una pena di cinque anni di reclusione.
Successivamente, il marito dell'infermiera intraprende azioni legali contro la Fondazione proprietaria della struttura di cura, sostenendo che non ha adottato adeguate misure di sicurezza per prevenire l'aggressione subita dalla moglie e chiedendo un risarcimento per il danno subito a causa della violenza sessuale. Questa richiesta viene accolta dai giudici di primo grado che ritengono che il datore di lavoro avrebbe dovuto mettere in atto misure preventive contro comportamenti dolosi dei pazienti. Di conseguenza, viene stabilito il risarcimento per il marito dell'infermiera.
I giudici di primo grado accettano anche la richiesta presentata dall'INAIL per il rimborso dei costi sostenuti in seguito all'incidente sul lavoro sull'infermiera. Tuttavia, la Corte d'Appello respinge la richiesta del marito, in quanto non è stata dimostrata l'obbligatorietà da parte della struttura sanitaria di adottare misure preventive specifiche per evitare il danno.
Il legale critica questa decisione, sostenendo che spetta al marito allegare solo il danno subito, con il datore di lavoro che deve dimostrare di aver preso le misure adeguate per evitare il danno. La Corte territoriale, secondo il legale, ha errato nel chiedere al marito di dimostrare violazioni specifiche da parte del datore di lavoro anziché rispettare le regole di cautela necessarie.
Il legale evidenzia che il comportamento anomalo del paziente ospite nella struttura di cura avrebbe dovuto far sì che la Fondazione adottasse misure di protezione per prevenire la violenza sessuale. Nonostante ciò, la Corte di Cassazione conferma la decisione della Corte d'Appello, sottolineando che l'azione intrapresa dal marito era basata sulla responsabilità extracontrattuale del datore di lavoro anziché su quella di natura contrattuale. Il marito doveva dimostrare la prevedibilità e l'evitabilità del danno, ma non è riuscito a farlo. Pertanto, la richiesta del marito di risarcimento del danno è respinta in assenza di prove sufficienti (Cas. n. 32072 del 12 dicembre 2024).